CronacaEutanasia: per Consulta il suicidio assistito non è reato

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Eutanasia: per Consulta il suicidio assistito non è reato

La sentenza è riferita al caso del radicale Marco Cappato, il quale il 27 febbraio 2017 dopo aver accompagnato in una clinica svizzera per il suicidio assistito Fabiano Antoniani, il dj rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, si è autodenunciato

Inserito da (Maria Abate), giovedì 26 settembre 2019 12:40:45

Un verdetto storico quello della Corte Costituzionale: il suicidio assistito non è reato. Per la Consulta non è punibile «chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».

La sentenza è riferita al caso del radicale Marco Cappato, il quale il 27 febbraio 2017 dopo aver accompagnato in una clinica svizzera per il suicidio assistito Fabiano Antoniani, il dj rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale, si è autodenunciato. La Corte d'Assise di Milano, nel 2018, investì della vicenda la Corte costituzionale: con questa sentenza i giudici hanno stabilito l'incostituzionalità dell'articolo 580 del codice penale, che punisce aiuto e istigazione al suicidio con la reclusione sino a 12 anni.

La Corte, inoltre, «ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».

«È veramente una vergogna che nessuno dei parlamentari abbia il coraggio di mettere la faccia per una legge che è dedicata alle persone che soffrono e non possono morire a casa propria - aveva detto Dj Fabo in uno dei suoi videomessaggi -. Siamo schiavi di uno Stato che ci costringe ad andare all'estero per liberarci da una tortura insopportabile e infinita».

Un verdetto accolto con enorme soddisfazione da chi ha sempre caldeggiato l'importanza di riconoscere dignità a chi decide di morire dopo lunghe sofferenze. «Ho sempre detto che se tornassi indietro rifarei tutto. Sono contento che la Corte riconosca come un diritto ciò che io ho fatto perché l'ho sentito come un dovere morale nei confronti di Fabiano e in generale di chi soffre», ha detto Marco Cappato.

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