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Storia e Storie

Tra memoria e identità, la Festa della Repubblica interroga ancora la coscienza storica del Paese

2 giugno. Quel voto del '46: scelta di libertà o passaggio controverso?

Il 2 giugno del 1946 l'Italia scelse la Repubblica con un referendum storico. Ma a quasi 80 anni di distanza, alcuni aspetti di quella consultazione sollevano ancora domande. Un'occasione per riflettere sul valore della memoria e su ciò che ancora oggi divide il Paese

Inserito da (Admin), lunedì 2 giugno 2025 09:03:33

di Massimiliano D'Uva Il 2 giugno 1946 è una data simbolica: l'Italia usciva devastata da una guerra che l'aveva vista sconfitta sul campo e, per la prima volta, chiamava al voto anche le donne. Il referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica fu vissuto come l'inizio di una nuova era. Vinse la Repubblica con circa due milioni di voti di scarto, e pochi giorni dopo Umberto II lasciava il Paese senza opporre resistenza. Una narrazione semplice, lineare. Ma lo fu davvero?

Col passare degli anni, alcuni studiosi e testimoni dell'epoca hanno sollevato interrogativi. I più noti riguardano la gestione del voto e dello scrutinio: ci furono 1,5 milioni di schede contestate, l'annuncio ufficiale della vittoria repubblicana arrivò dopo giorni di incertezza, e le proteste monarchiche, soprattutto al Sud, furono forti. A Napoli, manifestazioni in favore della monarchia si conclusero con scontri sanguinosi. Alcuni osservatori angloamericani erano presenti allo spoglio, un dettaglio che ancora oggi fa discutere.

È innegabile che il referendum si svolse in un clima teso, in un Paese spaccato in due: il Nord, più colpito dal fascismo e dalla guerra partigiana, votò in maggioranza per la Repubblica; il Sud, ancora legato al ricordo della monarchia sabauda e colpito duramente dai bombardamenti alleati, espresse in larga parte una preferenza per la Monarchia. Il sospetto di irregolarità, pur non suffragato da prove decisive, è alimentato da un dato: mentre la Corte di Cassazione inizialmente si limitò a comunicare i risultati provvisori, solo il 18 giugno proclamò ufficialmente la Repubblica, pur segnalando "incertezze giuridiche" che non si sarebbero potute risolvere nel breve.

A ciò si aggiunge una riflessione più ampia: quanto l'unificazione nazionale, il Risorgimento e il passaggio alla Repubblica siano stati realmente compresi e vissuti in modo equo da tutte le aree del Paese? In particolare, il Mezzogiorno subì profonde ferite durante e dopo l'unificazione avvenuta nel 1861. Le casse dello Stato borbonico furono svuotate, le industrie dismesse o trasferite, e numerose scuole al Sud rimasero chiuse per oltre un decennio, contribuendo a un divario educativo e culturale che si sarebbe trascinato per generazioni.

Quello che fu celebrato come un processo di unificazione fu, per molti meridionali, vissuto come una perdita d'identità e risorse, alimentando un senso di estraneità rispetto alla "nuova Italia". Non si tratta di negare il valore della Repubblica né di cadere in nostalgie monarchiche o teorie complottiste. Ma forse, nell'era dell'informazione condivisa, è giusto rileggere anche i momenti fondativi con occhi meno retorici e più critici. La memoria non è un monumento immobile: è un processo. E se la Festa della Repubblica deve unire, non può prescindere dal coraggio di fare i conti anche con quello che ancora oggi divide.

Auguri allora a tutti i giovani, di qualsiasi angolo d'Italia, agli italiani del futuro, qualunque sarà il colore della loro pelle, a loro il compito di sostenere una Nazione che spesso perde di vista i suoi duemila anni di storia e, come in questo momento storico, dimentica i suoi fasti, di essere la culla di tutta la civiltà moderna, cedendo alle critiche di mediocri burocrati che pensano, con i loro tristi raggiri pseudo economici, di potersene appropriare.

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