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Tu sei qui: Storia e StorieIl ricordo indelebile del grande Torino nel post di Sigismondo Nastri
Scritto da (Admin), martedì 3 maggio 2022 20:47:59
Ultimo aggiornamento martedì 3 maggio 2022 20:47:59
di Sigismondo Nastri
Maledetto quel 4 maggio del 1949. Avevo compiuto da poco quattordici anni. Seguivo il calcio alla radio: una Magnadyne comprata da papà prima della guerra, che era servita, nelle fasi cruciali del conflitto, a tenerci informati.
Non tanto dal nostro giornale radio, voce del regime, propagandistica, perciò inaffidabile, ma ascoltando nel chiuso di una stanza, con un volume appena percettibile e con le imposte serrate, i comunicati di Radio Londra. Mio padre mi consentiva di stare con lui a patto che non ne facessi parola con chicchessia. C'era il rischio di andare in galera.
A guerra finita cominciai ad appassionarmi al calcio. Simpatizzavo per il Palermo, la squadra più meridionale d'Italia, ma mi esaltavo alle imprese del grande Torino. Frequentavo il ginnasio, leggevo regolarmente Il Calcio Illustrato, ricostruivo le azioni descritte al microfono da Niccolò Carosio guardando con attenzione la "disegnata" di Silva. O quella tratteggiata a penna sui quaderni da Mario Laudano, indimenticabile compagno di scuola e di avventure, soprannominato Franzosi, che sognava di fare il giornalista sportivo. E ci riuscì per davvero, fino diventare redattore della mitica Gazzetta, colorata di rosa, a Milano.
La notizia dello schianto sulla collina di Superga, nel quale persero la vita i giocatori, insieme a dirigenti, tecnici, giornalisti, equipaggio dell'aereo, l'appresi dalla Magnadyne, per l'appunto.
Quella sciagura mise fine alla storia del grande "invincibile" Torino di Bacigalupo, Aldo Ballarin, Maroso, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Valentino Mazzola, Ossola. Senza dimenticare Dino Ballarin, Bongiorni, Fadini, Grava, Martelli, Operto, Schubert. I tecnici, i dirigenti, l'equipaggio e i tre giornalisti: Renato Casalbore (che era di Salerno), Renato Tosatti, Luigi Cavallero.
Fu un colpo al cuore. Piansi, quanto piansi! Pure adesso, a settantatre anni di distanza, se ci ripenso - e ci sto ripensando - mi tornano le lacrime agli occhi.
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