Lavoro e FormazioneItalia, lavoratori stressati e insoddisfatti

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Italia, lavoratori stressati e insoddisfatti

La fotografia scattata da una ricerca firmata Maw, l'agenzia per il lavoro e parte di W-Group, è stata condotta su un campione di oltre 2.600 lavoratori

Inserito da (Redazione Nazionale), domenica 1 ottobre 2023 16:57:10

Sui lavoratori poveri, lo sapevamo.

Da 30 anni i salari in Italia non crescono a differenza dei cugini francesi, e della stessa Germania, che nello stesso arco temporale 1990-2020 hanno visto crescere le proprie retribuzioni quasi del 30% in più rispetto alla diminuzione 'tricolore' del quasi il 3%.

Ora, per chi avesse necessità di evidenze empiriche di come anche questo si palesi sull'umore dei lavoratori italiani può leggere i risultati della ricerca firmata Maw, l'agenzia per il lavoro e parte di W-Group, è stata condotta su un campione di oltre 2.600 persone, evidenziando come

i lavoratori italiani siano stressati e insoddisfatti, non ritenendo la carriera prioritaria e ritrovandosi a gestire quotidianamente lo stress di un lavoro che probabilmente non gli piace.

In Italia solo tre persone su dieci si dichiarano pienamente soddisfatte della propria posizione lavorativa e circa una su due si sente abbastanza apprezzata e stimata sul posto di lavoro: la ricerca ha l'obiettivo di indagare bisogni, desideri e priorità dei lavoratori italiani in un momento di grandi sfide per il settore, e per fornire alle imprese uno strumento utile ad affrontare l'incremento del mismatching tra domanda e offerta di lavoro.

Gli intervistati: 46% uomini e 50% donne (4% preferisce non dirlo), hanno un'età media di 37 anni, prevalentemente lavorano da almeno 1 anno (88%) e provengono dai settori più svariati (da metalmeccanica, alimentare, servizi, commercio, chimica, gommaplastica, P.a, trasporto e multiservizi).

La maggior parte (62%) lavora in aziende con più di 50 dipendenti.

Queste le parole di Federico Vione, ceo di Maw e W-Group:

"Dall'analisi emerge che i lavoratori non cercano solo un posto di lavoro, ma qualcosa di più ed è fondamentale per le aziende chiedersi se i propri dipendenti si sentano quindi sufficientemente coinvolti nei processi di crescita aziendale.

Leggendo i dati, infatti, prendiamo atto che la carriera viene dopo la vita personale nella scala delle priorità e per quasi la metà del campione non è un aspetto di primaria importanza.

I lavoratori coinvolti ci hanno raccontato, poi, l'importanza dell'aspetto salariale, che naturalmente continua ad essere al primo posto quando si cambia lavoro, ma anche del benessere sul luogo di lavoro: più di sei persone su dieci non lasciano i datori di lavoro che sanno valorizzarli e un buon rapporto con i colleghi è determinante nella scelta di non lasciare il proprio posto di lavoro".

Un altro aspetto - è quello della salute mentale commenta Paolo Carnovale, country manager di GoodHabitz:

"In Italia, 1 lavoratore su 2 lotta in silenzio contro i problemi di salute mentale. - spiega invece GoodHabitz, la piattaforma internazionale per la formazione aziendale - Il 70% della forza lavoro nel Paese è alle prese con stress e burnout e il 13% dichiara di averli sperimentati in modo (molto) forte".

L'indagine, dice che il 70% dei talenti italiani sperimenta stress e burnout (stato di esaurimento emotivo, fisico e mentale), ma solo il 50% ne discute apertamente con i propri manager.

Quattro dipendenti italiani su cinque vedono una correlazione tra la felicità sul lavoro e l'impatto sul loro benessere generale (80%) più di 7 professionisti su 10 (76%) pensano che lo sviluppo personale potrebbe aumentare la loro felicità sul lavoro.

"I dati parlano chiaro: la crisi silenziosa messa in atto dalla metà delle risorse è un fenomeno iper-diffuso a livello culturale su cui non si può chiudere un occhio. Diventa allora essenziale per i manager delle aziende investire nella crescita personale, aiutando ogni risorsa a raggiungere il proprio potenziale e costruendo così un ambiente di lavoro sano e positivo", conclude Carnovale.

Il lavoro (non) è tutto.

La salute mentale, sì.

Norman di Lieto

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