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Tu sei qui: Territorio e Ambiente«Schietto nei sentimenti, eroico nella sofferenza»: Don Luigi ricorda Don Bonaventura
Scritto da (Maria Abate), venerdì 12 febbraio 2021 16:55:21
Ultimo aggiornamento venerdì 12 febbraio 2021 16:55:21
Di Don Luigi Colavolpe*
Per chi non lo sa "Il Signore di Scala" è il gigantesco Crocifisso ligneo, preziosa scultura del XIII secolo, di sapore orientale, che sul capo non ha la tradizionale corona di spine, ma ha la corona del re. Nel tempo della pandemia domina l'ampia abside della ex Cattedrale e domenica 24 gennaio ha accolto tra le lacrime del popolo il feretro dell'indimenticabile "Don Bonaventura".
In un pomeriggio piovoso, mi sono anch'io mescolato alla folla, che nel rispetto delle norme anti-covid, riempiva il sacro Tempio: volti smarriti, increduli, ben nascosi sotto la maschera per sottrarre agli occhi altrui l'amarezza di quell'incontro. Accanto all'altare, unito al mio arcivescovo e agli altri miei confratelli nella celebrazione eucaristica ho sentito chiara su di me "la carezza" consolatrice del Signore, che mi sovrastava.
In quell'atmosfera mistica creata dal suono delle ciaramelle, di cui don Bonaventura era un mai estro, dal canto del coro, che egli aveva fondato e diretto e dal composto silenzio della folla, che egli da pastore aveva guidato, la Parola di Gesù, che ci ricordava vicino il regno di Dio, mi fece provare la consolante sensazione di immaginarlo nell'atto di togliersi la sua corona regale per metterla sulla fronte del mio "caro fratello". Così mi chiamava e così mi sentivo nei frequenti incontri, che, purtroppo, negli ultimi anni sono diventati sempre più rari.
Il sogno soave di quel momento doloroso era fondato sulle promesse del vangelo: Venite, benedetti dal Padre mio! Che cosa Egli ha fatto per essere entrato così intimamente nel cuore del popolo e meritare "la corona" del regno?
È la domanda, che mi sorge spontanea nello stendere questa sua memoria. La risposta è semplice: era schietto nei suoi sentimenti, amorevole nei rapporti umani ed è stato eroico nella sofferenza. Era stato consacrato nel 1967 dall'indimenticabile Mons. Verardo, Amministratore Apostolico di Amalfi, diventato poi Vescovo di Ventimiglia dopo l'Ordinazione lo portò con sé come segretario per qualche anno. C'era la sorella che, cucinando, si attendeva da lui qualche apprezzamento per la sua arte culinaria. Ma don Bonaventura non arrivava a queste finezze e il caro nostro Monsignore rideva soddisfatto, dicendo: "La civiltà non è ancora arrivata per lui!".
Quante volte, ridendo, mi ha ricordato questa espressione! Ma questo era don Bonaventura: non sapeva fingere!
I suoi rapporti umani erano sempre espressione di un cuore semplice, che si lasciava riempire dall'amore di Dio.
La gente percepiva la sincerità dei suoi sentimenti e lo stimava. a Scala, a Pontone e dovunque Lo ricordo nei campeggi per gli adolescenti, che insieme animavano, nelle Marce della fede, cui spesso partecipava e lo vedo ancora inerpicarsi tra i boschi nella raccolta delle castagne o alla ricerca di origano o di funghi di cui era espertissimo.
Ma il tocco finale alla sua bella testimonianza l'ha dato con la dignità con cui ha abbracciato la croce. Mai è stato visto avvilito per ciò che soffriva! Sempre sorridente, perché tutto offriva.
Il Signore di Scala ben volentieri gli avrà consegnato la sua corona!
*tratto dalla rivista "Fermento" dell'Arcidiocesi di Amalfi - Cava de' Tirreni
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